LETTERE A MITA, di Cristina Campo (Adelphi)
L’amicizia tra le due ragazze, Margherita e Vittoria, o meglio Mita e Cristina, fu suggellata da quella tavoletta di legno rettangolare, spezzata in due parti, che ognuna di loro avrebbe conservato per sempre. Le duecentocinquanta lettere di Cristina copriranno lo spazio di due decenni, a intervalli irregolari, saranno diario intimo, specchio dei reciproci affetti, scambio di letture, critica letteraria e squarci di vita quotidiana.
In questo epistolario, illuminato dai fari di Hoffmansthal e Simone Weil, autentici capisaldi per il pensiero dell’autrice, ben si percepisce quel passaggio in ombra, quella lenta trasformazione che rende comunicanti quei due mondi di non appartenenza: se negli anni Cinquanta sono ancora stretti i legami con l’ambiente letterario, dove si incrociano tra i tanti i nomi di Luzi e Silone, di Alvaro e Citati, progressivamente la Campo, a seguito della repentina scomparsa di entrambi i genitori e dell’aggravarsi delle sue delicate condizioni di salute, diventerà crisalide in un mondo di totale spiritualità, che la vedrà consacrarsi alla conservazione delle liturgie latine e ortodosse, in direzione contraria alla spinta innovatrice del Concilio Vaticano II.
Consapevole di dedicarsi all’oreficeria più raffinata quando i tempi richiedono di spaccare e incidere la pietra, mai si avvicina all’ermetismo, al preziosismo fine a se stesso, sospinta dalla personale ricerca di una sua verità, nell’intransigenza di chi non accetta né si concede all’ipnosi dei costumi – fragile ma ostinata.
Recensione di Riccardo Del Dotto
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