LETTERE A THEO, di Vincent Van Gogh (Guanda – maggio 2022)
Dal 1872 al 1890.
Fu in luglio, in un campo di grano con quella luce gialla che tante volte aveva dipinto, quando Vincent si mise ad armeggiare con una pistola, pur non mirando ad organi vitali. Poi si trascinò fino alla pensione di Auvers, dove allora abitava.
Visse altri due giorni, assistito da quel dott. Gachet di cui ci ha lasciato un memorabile ritratto all’espressione triste ed assorta.
Se è vero, come penso, ciò che disse Philippe D’Averio e cioè che malgrado i suoi tentativi di divulgare l’arte, oltre lo zoccolo duro degli appassionati è difficile andare, però Vincent è qualcosa di speciale: in tanti hanno posato lo sguardo su quei girasoli dai colori così caldi che persino il marrone vira al giallo o sulla notte stellata dove il cielo è in tumulto mentre la terra dorme.
E quelle case che sembrano respirare o gli alberi dalle pennellate vibranti che emanano energia.
Ecco, se avete amato, come me, la sua arte, leggendo le sue “Lettere a Theo” avrete modo di ricomporre la sua complessa personalità.
Le lettere sono tante, tante le pagine (più di 400), ma sono un documento fornito dalla sua viva penna, avendo però una loro validità anche dal punto di vista letterario.
Perché Van GOGH era un uomo colto: leggiamo delle sue riflessioni sulla fede – la sua fede senza dogmi sulla storia, sull’arte. Aveva osservato a lungo opere di Rembrandt, di Delacroix, di alcuni lmpressionisti staccandosene poi per il suo personalissimo talento.
E leggendo lo scopro umile, quasi mai soddisfatto del risultato, sempre in ricerca del colore più adatto.
Scopro anche l’insospettabile dolcezza – lui orso e irascibile com’ era – verso il fratello quando facendosi più frequenti le crisi scriveva per rassicurare Theo : “Si, sono stato male ma ora sto molto meglio e credo proprio che guarirò del tutto”.
La mia ostinazione rifiuta termini come “pazzo, folle” liquidati con leggerezza, perché leggendo quelle pagine trovo un uomo – anzi un ragazzo – di elevata tempra morale, capace di analizzare con lucidità il proprio lavoro come altrettanto lucidamente sapeva valutare gli eventi della sua vita.
Sul suo disturbo mentale, molte sono state le diagnosi postume:psicosi? Depressione bipolare? chizofrenia?
Difficile stabilirlo.
Nonostante le sue ossessioni, trovo un uomo assetato di vita, di amicizia, di amore.
Però a parte Theo forse nessuno lo amò, non una donna, non un amico (vedi Gauguin) anche per la sua incapacità di gestire le relazioni.
Osservo le sue opere e si annulla la distanza nel tempo: l’energia, la bellezza, la violenza di quelle immagini arrivano intatte a me, a noi. Perché questo fa l’arte.
Recensione di Ornella Panaro
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