MARCA GIOIOSA, di Roberto Plevano
In questi giorni la fiction televisiva “Il Nome della Rosa” con John Turturro e Damian Hardung, catalizza l’attenzione di milioni di telespettatore italiani il martedì sera. Protagonista indiscusso è un manoscritto ritrovato, un espediente narrativo intorno al quale Umberto Eco costruì la trama del suo romanzo, al quale è ispirata l’omonima serie Rai, proprio come fecero tanti altri autori nella storia della letteratura di tutti i tempi. Il manoscritto, simbolo e veicolo di conoscenza, poesia, filosofia, storia, vita e morte del passato è anche al centro delle vicende di Amalrico, raccolte nel romanzo di Roberto Plevano “Marca gioiosa”.
Rispetto al capolavoro di Umberto Eco siamo nel Medioevo di un secolo prima, e attraverso la fuga del giovane Amalrico dalla Provenza in Nord Italia, si affronta la questione della diffusione della lirica provenzale in Italia nel XII e XIII secolo, che accanto alla poesia religiosa, ebbe un ruolo cruciale nella nascita della voce della poesia volgare in Italia. “Oggi purtroppo la poesia è la Cenerentola della letteratura”, dice l’autore.
Nel romanzo, il magister artium Amalrico, che tiene scuola a Tolosa, è il primo maestro del protagonista; il suo nome è preso da Amalrico di Bène, filosofo e teologo che visse realmente a Parigi nella primissima parte del Duecento. Le cronache dicono che fu condannato ripetutamente, insieme ai sostenitori delle sue posizioni. Dopo la morte, i suoi libri e i discepoli finirono tra le fiamme, il suo corpo riesumato e gettato in terra sconsacrata. Al giovane è affidato il libro del maestro, che diventa il possesso più prezioso, l’unica cosa che rimane dopo la distruzione della sua famiglia e della sua città.
Da lì inizia un cammino che è doloroso come una seconda nascita. Il libro, le lezioni ricordate del maestro, diventano la cura dell’anima, e i primi mezzi della sua sopravvivenza. E poi, l’incontro con altre due figure paterne, un medico e un mercante, entrambi ebrei.
“L’idea che ho voluto illustrare – dice Roberto Plevano in un’intervista – è che gli incontri più preziosi, quelli che segnano la vita, sono imprevedibili ma concatenati, nel senso che nella società degli esseri umani troviamo anche delle affinità virtuose che producono effetti imprevedibili e duraturi. Ecco allora che un maestro secolare di Tolosa è conosciuto e ammirato da un medico ebreo di Montpellier, che somministra la cura del corpo al protagonista, un gentile estraneo alla sua gente, e lo affida poi a un uomo molto diverso da lui, un mercante. Queste tre figure insegnano, donano al protagonista la cosa più preziosa: un buon modo di stare al mondo, a cominciare dall’educazione.”
Narrazione avventurosa e colta, piena di personaggi e idee, con pagine affascinanti di storia, e un felice cocktail di invenzione e realtà, ‘Marca Gioiosa’ è molto di più di un romanzo storico. Oltre a coinvolgere il lettore in vicende avvincenti e documentatissime, storicamente plausibili, ma frutto della fantasia del suo autore, ‘Marca Gioiosa’ ci catapulta in luoghi e tempi che non sono i nostri e attraverso questo viaggio nel Medioevo, viene lanciato un messaggio. Attualissimo. Nella congiuntura storica nella quale ci troviamo immersi, che è di cambiamento epocale – basti pensare a quanto accade nel Mediterraneo, nelle terre a poche centinaia di chilometri da casa nostra –, è importante conoscere la storia e la formazione dei luoghi e delle civiltà, che sono sempre incontri, scontri, disseminazioni, germogli, scambi di differenze umane.
La storia del potere, è da sempre il tentativo di dare forma stabile al passare degli uomini, e rilevanza a se stessi e ai propri interessi, con l’uso della persuasione e della forza. Il racconto, che riflette l’esperienza in forma organica, consente di acquisire gli strumenti per pensare a chi siamo, a che cosa siamo diventati. Ci piacerebbe molto poter pensare che in fondo il romanzo di Plevano tratti solo del Medioevo, alle nostre spalle ormai da diversi secoli; purtroppo viene da chiederci se veramente oscurantismo e barbarie facciano parte di un passato che non esiste più.
L’ambientazione corrisponde grossomodo all’attuale Veneto di terra – nella congiuntura storica del XIII secolo, nota allora come Marca veronese (o trevigiana): le città, la terra, gli uomini. Il titolo è volutamente ironico che di ‘gioioso’ c’è ben poco nell’epoca e nel territorio, scenario di lotte cruente. Nell’accompagnare Amalrico lungo il viaggio che lo porterà dalle terre d’Occitania agli antichi territori della Marca sarà bene tenere a mente le parole del profeta Isaia, citate in epigrafe dall’autore: “Gli empi sono come un mare agitato che non può quietare […] Non c’è pace per gli empi, dice il Signore.” Ecelinello, alias Ezzelino III – il feroce tiranno della Marca, cultore della guerra sin dalla più giovane età – sarà soltanto uno dei mille assetati di potere, uno di quei tanti empi senza pace che s’incontreranno nella lettura.
Il protagonista, ormai invecchiato, riflette:
“Ho vissuto tra gli uomini, ho vissuto come un uomo. […] Che cosa ho imparato? La cosa più difficile è stata… disimparare, disimparare il superfluo, che è il danno della mente. La cosa più difficile è dimenticare il cielo sopra di me, che non serve. Quello che gli uomini chiamano cielo è il vuoto in cui cadono le grida, in cui suppliche e pentimenti si spengono.”
Un romanzo di grande impatto, quello di Roberto Plevano, studioso e storico vicentino che con questa sua opera prima ha saputo magistralmente affrontare tematiche complesse, di grande contemporaneità, regalandoci al contempo pagine liriche e di grande spessore.
I consigli del Caffè Letterario Le Murate Firenze, di Sylvia Zanotto
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