LA PAURA FERISCE COME UN COLTELLO ARRUGGINITO – Giulia Scomazzon

LA PAURA FERISCE COME UN COLTELLO ARRUGGINITO, di Giulia Scomazzon (Nottetempo – gennaio 2023)

“Il punto più vero di ciò che sono è il ricordo smarrito di un dolore insuperabile.”

Si dice che nessuno muore per davvero finché vive nel ricordo di chi resta. Ma cosa succede quando non si riesce a ricordare? Quando non riusciamo ad afferrare altro che sprazzi dell’ immagine di chi amiamo?

Giulia cerca nelle sue memorie e in quelle degli altri per ridare corpo al ricordo di sua madre, Roberta, morta nel 1995, a trentuno anni, quando lei ne aveva solo otto.

Roberta muore di AIDS, e Giulia è convinta che questo abbia avuto un peso nel silenzio che circondò allora la dipartita di sua madre, e nella rimozione messa in atto dopo, dai parenti, suo padre e sua nonna in primis, per proteggerla dal dolore, indubbiamente, ma impedendole così di vivere il lutto, avvantaggiandole quel processo di dimenticanza che negli anni si trasformerà in rabbia soffocata, in depressione, in paura, in panico.

Quando il malessere diventa insostenibile, Giulia decide di scavare nella sua memoria, in quella di suo padre, dei parenti, delle vecchie amiche di sua mamma, anche se è la cosa che la terrorizza di più, anche se non riesce a liberare il tempo dal male. Ha bisogno di ricordare sua madre, i suoi atti d’amore, la sua vita, e allo stesso tempo ha bisogno di avere chiara la sua immagine per distinguersi da lei, non percepirsi più come il suo fantasma, essere finalmente vista, non essere confusa.

La storia di Roberta è anche la storia dell’ eroina negli anni ’80, e di come questa storia è stata poi raccontata anche male, in modo univoco, perché tante di quelli che vennero a contatto con la sostanza erano persone tranquille, con una vita normale, un lavoro, dei figli, come Roberta.

E la storia di Roberta è anche la storia dell’ epidemia di AIDS, che da metà anni ’80 a metà anni ’90 si diffuse soprattutto tra coloro che avevano fatto uso o facevano uso di eroina, con particolare virulenza in Veneto e nel Lazio, e che è una storia che non è mai stata raccontata veramente, silenziata dalla vergogna e dallo stigma. Ma ci sono gli “orfani dell’ AIDS”, un piccolo esercito silenzioso, che, come Giulia, cerca di dare risposte a domande mai piste, di superare ogni giorno, giorno dopo giorno, la paura dell’ assenza, di “cercare tra le crepe del suolo piatto e deserto del silenzio che ha avvolto il mio terrore infantile”.

Consiglio con il cuore la lettura di questo bellissimo e intenso memoir, vero, denso di emozioni da caderci dentro, che mi ha fatto conoscere una scrittrice intelligente e coraggiosa, anche se questo è l’ ultimo degli aggettivi che lei userebbe per descriversi.

Recensione di Azzurra Carletti

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